Claudio Cerritelli
dal catalogo della mostra personale alla galleria Neon, Bologna 1989
L’oggetto della superficie
Un dialogo serrato e rigoroso è quello che Alessandro Traina va costruendo tra superficie e oggetto, tra pittura e scultura, in un rispecchiamento di forme e di strutture che non permette di scindere il processo artistico in due momenti precisi e autonomi. All’inizio è la superficie che guida questo dialogo tra allusione tridimensionale del piano e virtualità pittorica dell’oggetto, ma si tratta di un ‘idea di pittura che nulla concede allo sprofondamento interiore del colore, si affida piuttosto ai meccanismi calcolati delle linee che sono idee per strutturare lo spazio. Il colore recita la sua condizione di sfondo appena in vibrazione, fatto di minime apprensioni di sguardo, quasi anonimo e immateriale al cospatto della precisa identificazione delle strutture lineari che Traina immagina già come sculture su tela. In seguito può essere proprio un ‘idea di scultura a condurre avanti il gioco di tensione delle linee, materializzate, divenute materia impassibile, fredda e di nuovo calcolata nella sua veste astratta e minimale. Anche in questo punto del processo ideativo la pittura non è superata, accantonata, ma conservata nei suoi metodi costruttivi, nella sua funzione di oggetto ipotetico dove esercitare la linea nella complessità dei suoi slittamenti percettivi. Allora il carattere dell’attuale ricerca di Traina sta nello scambio effettivo delle parti: nella precisa conformazione linguistica degli oggetti dipinti e nella simultanea presenza di tele oggettuali, ugualmente strutturate per via di volumi virtuali dettati sulla superficie. A ben vedere, si tratta di strutture e di oggetti teoretici, vale a dire forme che intendono cominicare una forte idea di spazio, di più che una identità o una funzione figurale, Traina dipinge o mette in scena linnee che costituiscono nelle loro relazioni luoghi circolari, gabbie perpendicolari, spaesamenti per lo sguardo, costretto a seguire un ambiguo scatto prospettico di fronte a queste costruzioni improbabili. La probabilità sta nella scultura, fisica e concreta in ogni suo rapporto, ed è un tipo di oggettualità intesa come pura indicazione di spazio e come presenza del tempo. Sono materiali “a disposizione” dichiara l’artista, in effetti il senso di questo recente operare di Traina sta nell’attesa di lettura da parte dello spettatore ma anche nel tempo di contemplazione dello stesso autore. Pittura e scultura ci parlano con i medesimi elementi formali quasi per voler rafforzare il sorgere di uno spazio elementare davanti ai nostri occhi, fatto di strutture essenziale che l’artista va fissando avvalendosi di strumenti che appartengono sia alla superficie sia allo spazio tridimensionale. Qui Traina conduce in modo equilibrato e cosciente tutti i passaggi della sua personale ricerca, dislocando i segni nello spazio come “indicazioni” di un processo in divenire.
da “La scultura inesplorata”, ed.Questarte, Pescara 1993
Dopo aver fatto leva su pesanti tubi di ferro compressi da fasce nere, sculture-oggetto piegate alle diverse esigenze dello spazio, Alessandro Traina punta sul volto della leggerezza come qualità intrinseca dei suoi materiali: carte, ferri, plastiche trasparenti, magneti. Del passato lo scultore ha mantenuto il gusto minimalista, non come retorica linguistica legata ai modelli storici degli anni Sessanta, ma come viva partecipazione al sentimento dell’ambiente, come ricerca dell’immagine che offre allo spettatore minimi segni per avere il massimo coinvolgimento. Il medesimo luogo in cui i sottili materiali di Traina sono istallati è mutevole e, per questa sua natura, rappresenta il punto in cui si può cogliere il formarsi dell’immagine. La scultura si colloca sia al cospetto della parete bianca sia a notevole distanza da essa, al centro del vuoto, in posizione di attesa, come se lo spazio circostante dovesse attraversare la plastica oppure illuminarsi con il riverbero della carta o, ancora, potesse far perdere l’equilibrio alle strisce magnetiche che fermano le carte sulla superficie metallica. L’opera è tutta giocata sulla congiunzione di elementi apparentemente distanti: da un lato esige la lettura specifica dei segni lasciati dal frottage, dall’altro esige che lo sguardo si faccia totale e affronti l’impatto con l’ambiente. Si impone, dunque, un’attenzione verso quanto di rarefatto e impalpabile la scultura mostra ma soprattutto la necessità di dilatare la fragile densità dei materiali, rendendoli forti come il vuoto, energici come l’aria che li attraversa, dinamici come le vibrazioni luminose che animano la pellicola di plastica come un corpo che preme con il suo respiro. La veste minimalista acquista via via un senso poetico dello spazio, l’aspetto di una soglia vertiginosa, che si lascia attraversare e a volte non ammette intrusioni; solo sguardi silenziosi.
dal catalogo “Giovane Arte Contemporanea”, Fondazione Sartirana Arte, 1995
Carte, ferri, plastiche traspartenti e magneti, con questi materiali giocati sul peso e sulla leggerezza Alessandro Traina sta portando il concetto di scultura fino ai limiti del suo assottigliamento, configurando le forme prescelte sempre più all’interno della parete. Alla quale si accostano non solo le grandi finestre di plastica che l’artista appoggia come soglie in attesa di sguardi ma anche gli oggetti tridimensionali, i volumi reali e virtuali dei tavoli trasparenti costruiti solo per essere osservati. La parete recita un ruolo decisivo anche quando è sfiorata dalla presenza dei materiali, coinvolta solo nel ruolo di superficie-sfondo in cui si immergono le immagini oppure da cui staccano il loro effimero profilo. La plastica sembra avere un peso, come se le sue molteplici forme fossero scolpite nella luce che l’attraversa rendendola ancor più tattile e fisicamente presente. L’identità della scultura è vissuta in un’atmosfera rarefatta e impalpabile, come se il respiro delle forme potesse d’incanto interrompersi, senza per questo perdere energia.
dal catalogo “Confronti con la scultura”, Palazzolo sull’Oglio, 1996
Carte fatte a mano rivestono lamiere di ferro piegate, fissate da calamite che congiungono la diversa natura dei materiali in un unico volume. Nello spazio si avvertono diverse tensioni della materia, la violenza del ferro piegato e la tenerezza della carta che aderisce al piano metallico con frammenti di magnete. La scultura si trova a vivere su una doppia soglia, quella della forma bianca che offre un volto luminoso e l'altra zona, quasi relegata nella dimensione chiusa del non veduto. L'obiettivo è di rivelare l'ambivalenza dello spazio attraverso l'esaltazione del limite, passando dalla bidimensionalità della lastra al volume virtuale dell'opera, interrogato dall'artista nella sua ambigua presenza.