Angela Madesani
Catalogo per le mostre personali alle gallerie Maria Cilena, Milano 1997 – Plurima, Udine 1998
 
Pezzi
 Posati senza ordine sul muro i “pezzi” sono piccole tracce. Cocci, frammenti di un’archeologia del tempo. Non si tratta di un’installazione, ogni parte vive di vita propria. E’ un’ immagine, senza dubbio, frammentaria dell’esistenza, che testimonia un passaggio indefinito e indefinibile attraverso il tempo e lo spazio. Quello di Alessandro Traina è un lavoro di sintesi. La sua è una ricerca paziente: l’osservazione, la comprensione, lo studio, l’eliminazione per arrivare, infine, al nucleo del problema, alla traccia che testimonia, che indica, che cerca di recuperare il vissuto al di là di una definizione spaziale e temporale. Le sculture leggere, nella chiave di lettura del termine fornita una volta per tutte da Italo Calvino (1), testimoniano presenze senza passare dalla fase narrativa, già macinata e digerita in precedenza. Traina comunica a-narrativamente il vissuto che ha già guardato, studiato, meditato. La sua è una ricerca continua, estenuante e intima dell’esistenza. Di quello che accade, sempre, qualcosa rimane: Traina lo raccoglie, lo trattiene e infine lo mostra attraverso il ferro, la carta e, quale prezioso elemento di collegamento, la calamita. Non esiste inizio, fine, durante; il lavoro è testimonianza di un’avvenuta coesione spazio-temporale che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni. Come le schegge di un oggetto frantumato e per questo inesistente nella sua presenza unitaria, “pezzi” riempiono lo spazio esterno con una scelta dissacrante, non ironica, che supera l’aura, propria dell’opera d’arte, ma che mette in difficoltà e in crisi il suo stesso lavoro. Non si va alla ricerca del tanto amato vacuo, del vuoto capace di convogliare l’attenzione, anzi si vuole riempire in modo disordinato e disorganico quasi a creare una sorta di disorientante sindrome di Stendhal. Lo spettatore può stare al gioco, o, viceversa, annichilito, scappare. I frammenti  ci riportano alla vita, alla morte, alle problematiche fondamentali dell’esistenza. Alessandro Traina pone la sua riflessione sul tempo, sugli eventi, senza porre interesse all’accadimento specifico. Lontano dal sociale, ma calato nella realtà fenomenica, dove il singolo individuo è chiamato a dare un ritmo alle presenze, a collocarle nel tempo, attraverso le pause e le riprese e a dare, quindi, in questo modo, senso all’esistere.  Senza fine né inizio per ricomporre la dimensione ontologica. Traina è un raccoglitore paziente, collezionista sui generis, alla continua ricerca dei frammenti, delle prove dell’esistenza, di qualcosa che non è e al quale si potrebbe dare vita attraverso la coesione dei vari elementi. Il nucleo, la sostanza è ciò che sempre rimane. Il suo è un lavoro privato che continua giorno dopo giorno senza sbalzi. I suoi cestini sono pieni di scarti: si rimette insieme per non perdere, per recuperare. I “pezzi” hanno lo stesso valore dei reperti di vissuto che si trovano per strada, nei cassetti trascurati negli anni. E  i lavori di Alessandro Traina, nati da questa preziosa elaborazione, entrano così a far parte di quella poetica dei minimi, così uguali a se stessi, ma anche così profondamente diversi nella continua ripetizione, che dal Minimalismo contemporaneo arriva sino a Piero della Francesca e ai Toscani del ‘300.
(1) Italo Calvino, “Lezioni americane-sei proposte per fine millennio”, Milano, 1988, “Leggerezza” pag. 5 e seguenti.
Pieces

...Alessandro Traina places his considerations of time and the actuality of the events without interest to any single specific occurence. Far from being interested in daily social intercourse, he is completely absorbed by the reality of "phenomena": where the single individual is summoned to assign a rythm to the presences, to frame them in time through pauses and starts, and in this way, assign a meaning to existence. Without an end or a starting point to reassemble and recreate the "ontological dimension". Traina is a patient and meticulous gatherer of stimuli: a sui generis collector continually seeking fragments, that prove the existence of something that "is not " yet can yield life through the cohesion of agglomerating various parts. The nucleus, the substance is what always remains. His work is of a very private nature and he maintains his course day after day with undying perseverance...Traina intimates, in a non-narrative manner, the "experiences" he has already observed, studied, and meditated upon. His research is in continuous evolution: a grueling and intimate exploration of existence. Any circumstance or event leaves a trail: something remains. Traina gathers and keeps these residuals and translates his findings using iron, paper, and as a precious connecting element, magnets...

Dal catalogo della mostra personale "Tempi vuoti", galleria Spaziotemporaneo, Milano  2003

Immagini immaginarie. Il percorso artistico di Alessandro Traina

 Introduzione

Parrebbe quasi una contraddizione affermare che la ricerca di Alessandro Traina è improntata sull’immagine. Sì perché l’immagine nel suo lavoro, che si snoda attraverso un cammino lungo ormai quasi venti anni, non c’è mai. Eppure contraddizione non è. Si tratta di immagine in senso ideale, a cui si arriva attraverso una serie di riferimenti più o meno chiari. Si pensi in tal senso alla serie Quasi trasparente del 1992-1993, dove le immagini sono immateriali. Allusioni, accenni.

 La storia

Il suo cammino nell’arte è lungo e complesso, è un tentativo di sintesi che torna su se stesso con un processo di meditazione e ribaltamento dei fattori. La storia inizia con la pittura nella seconda metà degli anni Ottanta (1986-1989). Si tratta di opere essenziali costruite attraverso la luce e il buio, in cui la tensione è all’assolutezza dell’espressione, all’infinito. Pochi i riferimenti all’esterno, come sempre nella sua ricerca. Il cuore del lavoro è nella sua ecceità. Sono di poco posteriori i quadri volumetrici (1987–1991) assai importanti all’interno della sua produzione proprio perché per la prima volta fa la sua comparsa un elemento in grado di bloccare, di riordinare il resto dell’opera composta da volumi, porzioni di spazio, che ne impedisce un’ulteriore espansione. Elemento che da questo momento in poi sarà determinante nella costruzione dei lavori. Tra i lavori più forti e riusciti di Traina le sculture di grandi dimensioni in tubolare di ferro e lamiera che esegue a partire dal 1988, sino al 1992 (1). Qui l’idea è quella di fermare il tempo, attraverso il movimento che lo rappresenta. Sono forme tubolari contorte che si snodano, linee colte in immaginarie evoluzioni, costrette da grandi “fasce” che stringono la struttura in modo da impedirne lo sviluppo spaziale. Si tratta di un lavoro di grande forza in cui il tentativo di bloccare e quindi di registrare il tempo è un sintomo di potenza. Anche qui il legame con l’immagine nel tentativo, riuscito, di fermarla, in fieri, è chiaro. Sono di qualche tempo successive le gabbie di ferro per fogli di carta (1989–1991). Nelle carte si avverte un percorso che indica il movimento. Percorso che è, tuttavia, ridotto in porzioni fermate dalle strisce di ferro che le limitano. È qui il tentativo di fermare il vissuto. Collocabili tra il 1992 e il 1993 sono anche gli Intervalli. Qui compare per la prima volta la calamita, elemento costante del lavoro di Traina degli ultimi dieci anni. Se tramite la gabbia si tenta di bloccare definitivamente la carta qui il tentativo è quello di potere cambiare le zone di coesione tra la carta e il ferro, che fa da armatura. Il fruitore dell’opera può intervenire direttamente sulla carta creando una sorta di intervallo: riflessione esistenziale semplice e profonda al tempo stesso. Il lavoro di Traina che a un primo sguardo potrebbe apparire precipuamente formale è in realtà una riflessione attraverso la tridimensionalità sull’esperienza dell’uomo, che parte prima di tutto da quella dell’artista. In questo caso uomo silente, complesso, raramente aperto al mondo. Questo il senso di questo lavoro che da anni si sviluppa coerente con se stesso e con chi lo propone. Di quello stesso periodo (1992-93) è anche una delle serie più significative del lavoro di Alessandro Traina Quasi trasparente, a cui ho già fatto accenno. Si tratta di una serie di foglietti trasparenti fissati, fermati da una striscia di calamita, come fotografie senza immagini. Un tentativo di ripescare nella memoria con una metodologia opposta a quella di uno degli artisti contemporanei che più hanno utilizzato questa procedura, Christian Boltanski. Traina cerca di ripescare, di mettere in ordine, come quando si tenta di ricordare, di mettere a posto le idee. E quindi di riguardare con calma le cose come in un’operazione di ordine pratico. Come se si presentasse la possibilità, utopica, di riprendere le tracce di un’esistenza, senza un ordine cronologico e spaziale, di cui rimangono innumerevoli immagini immateriali che testimoniano un passaggio, una presenza e che nel corso del tempo svaniscono, si perdono. Qui protagonista è la necessità di una ricerca. Ricerca dell’esistenza priva di ordine è anche nella serie Finestra e Dentro (1992–1993). Sono dei telai coperti da una plastica trasparente, dove la visione può essere fermata in qualsiasi punto tramite le calamite come su un visore luminoso. È il tentativo di centrare le cose, di crearsi un quadro, con la possibilità di cambiare, di andare in un altro tempo, in un diverso spazio. Si è invitati a guardare, cercare. Importante è proprio la possibilità di inquadrare ogni particolare, di distribuire l’attenzione, di concentrare l’osservazione. Qualcosa rimane. Complice è la luce che ci aiuta a individuare ciò che ormai appare appena. È stato questo un periodo di particolare vitalità per Traina che ha dato vita nello stesso tempo a Progetti (1992-93), a cui sono strettamente legati i lavori più vicini a noi da un punto di vista cronologico. Si tratta di appunti sospesi indefinitamente nel tempo. Carte bloccate dalle calamite come le idee nello studio di qualsiasi creativo. Sono le cose che rimangono temporaneamente vaghe nella nostra mente, ancora lontane dal nostro fare quotidiano. Progetti che forse non vedranno mai la realizzazione, che passano, però, quotidianamente nei nostri pensieri. Tra il 1992 e il 1996 nascono anche le due serie Blocco (1992–1993) e Forma bianca (1994–1996), dove è chiaro il tentativo di cancellare la fine ricomponendo in un possibile “restauro” l’essere stato, ricostruendo la forma originale delle cose. L’opera trova la sua espressione grafica attraverso il disegno in cui si accenna appena alla porzione mancante del “blocco”, forma assoluta, che, chiusa nel vetro, ora è solo da osservare e diviene così oggetto pregnante di riflessione. Anche le “forme bianche”, architetture spaccate, sono rimesse insieme interamente. I vari elementi, accostati da calamite a un’ossatura metallica (che ne riprende la forma iniziale), si trovano in una condizione di provvisorietà. La forma riassemblata necessita soltanto di un’ulteriore osservazione. Il tentativo di ricostruzione è la memoria dell’oggetto nella sua totalità. Pezzi (1997) sono, appunto quello che rimane di una superficie ridotta a brandelli. I frammenti sono salvati uno per uno. La tensione non è a ricostruire, ma a raccogliere.

Conclusione. Lavori recenti

Il filo rosso nel lavoro di Traina che abbisogna di lunga osservazione nel corso del tempo è il tentativo di bloccare le cose per ridargli una nuova, diversa esistenza. Nei lavori più recenti (1998-2002), che portano il sottotitolo di Inchini è il senso dell’oggetto stesso costituito dalla carta e dalla sua struttura di ferro che ne supporta la forma. La lamiera diviene tutt’uno con la carta in una voluta ambiguità materica nel corso di un processo di adattamento alle diverse peculiarità. Il problema è sempre lo stesso: riuscire a fermare il tempo nello spazio. Il tentativo non è, tuttavia, quello di riportare l’oggetto alla forma iniziale. Non vengono eliminate le pieghe per creare una sorta di ricomposizione. Si ha solo la sensibilità di conservarlo, fermandolo così com’è, bloccandolo in una struttura di lamiera che riprende interamente la sua forma attuale, con le sue pieghe e i suoi strappi. Impedendogli così di sottoporsi a un ulteriore decadimento, a un’azione del tempo che potrebbe portarlo alla distruzione definitiva, alla condizione del non essere. È sottolineata l’importanza dell’essere e dell’essere stato anche nelle opere più recenti. Qui è presente un fattore in più rispetto alla serie Forma bianca. Si tratta dell’azione del tempo, che determina un cambiamento, una trasformazione fisica dell’aspetto iniziale delle cose e generalmente dell’essere. Qui le superfici, nere o colorate, poco importa (il colore non è sostanziale in questi lavori) si “inchinano” al tempo, si accartocciano come fogli di carta, si piegano e si strappano. Mi piace qui intravvedere un procedimento fotografico tridimensionale, scultoreo. A cui fa seguito la bramosia della catalogazione, della conservazione. In tal senso non è casuale nel corso degli anni la scelta della serialità attraverso cui i diversi gruppi di opere diventano coerenti figliazioni del suo personale cammino nell’arte.

 (1) Tutti i suoi lavori sono prodotti in serie. Il passaggio da una serie all’altra avviene all’esaurimento sperimentale e creativo dell’idea, che per forza di cose deve trovare una trasformazione.

 

Imaginary images. The artistic journey of Alessandro Traina

 Introduction

It would seem almost contradictory to say that Alessandro Traina’s artistic path is marked by ‘image’. Yes, because the concept of image, in his work, which winds its way through 20 years of study, is never actually present. This is not a contradiction; because we are considering the ‘ideal’ definition or ‘concept’ of image, to which one arrives through a series of references; some manifest, some barely there. If one considers in this light, the Quasi trasparente series done through 1992-1993, where image is immaterial, allusions and hints.

 The history

His artistic journey is long and complex, it is a tentative of synthesis which turns on itself through a process of meditation and capsizing of elements. The story starts with the paintings during the second half of the 80’s  (1986-1989). Works that are essential, constructed with light and darkness, in which tension gears towards the absolutedness of expressions, to infinity. Few references to the exterior, as usual in his work. The ‘heart’ of the work is in its being. Shortly after there are the volumetric paintings (1987-1991); an important phase within the volume of Traina’s work because for the first time he introduces an element: blocking, rearranging the rest of the work comprised of volumes, spatial portions, to prevent any ulterior expansion. An element that from this point on shall be determinative in the costruction of his work. Among Traina’s strongest and successful works are the big sculptures in iron piping and metal sheets which he made from 1988 up until 1992 (1). Here the idea was to stop time, through the movement it represents. They are contorted tubular forms which wind, lines grasped in imaginary evolutions, contained by large ‘bands’ that constrict the structure and impede their spatial development. These are strong works of great force in which the tentative to block and set time is a symptom of strength. Here also the bond with the image in the tentative, which is successful, to stop it, is evident. Little time passes to reach the successive phase: iron cages for sheets of paper (1988-1991). In the various sheets one senses a path that indicates movement. This path which is, however, reduced in portions, stopped by the strips of iron which limit them. This is an approach, a tentative to stop ‘lived life’. Placed between 1992 and 1993 are the Intervalli. The use of magnets makes its first appearance, and since then have been a costant element in Traina’s work for the last 10 years. If the cages were an experiment to definitedly block the paper element, then here is a study of the power of changing the zones of cohesion between paper and iron which becames a framework. He who enjoys these works can intervene directly on the sheets creating a sort of interval: existential reflections which are both simple and profound at the same time. At first glance, Traina’s art might appear chiefly formal yet is, in fact, a reflection through the tri-dimensionality of the experience of man that begins through the artist’s personal vision. In this case, the artist is a silent man, complex, rarely open to the world. This is the sense of this work, that evolves for years and develops coherently with itself and its creator. From the same period (1992-93) are one of Traina’s most meaningfull and significative series: Quasi trasparente, works which were mentioned earlier. These are a series of transparent sheets secured, fastened by a magnetic strip, like photographs without images. A study in fishing in the depths of memory with a methodology precisely opposite to that of another contemporary artist who also used this procedure in his creations: Christian Boltansky. Traina trys to reevoke, and put in order, as one does when trying to remember, to organize his ideas and thoughts. And therefore reconsider calmly all things as if organizing in a pratical manner. As if introducing the possibility, utopistic as it may seem, to resume the traces of an existence, disregarding chronological or spatial order, which generate numerous immaterial images, which bear witness, a passage, a presence, and that through the passage of time, vanish, are lost. The protagonist here is the necessity of a specific research. Research into existence, deprived of any order is also in the series Finestra and Dentro (1992-1993). Metal frameworks covered in transparent plastic where the vision can be halted in any point using the magnet as if on a light box. It is a tentative to center things to create ones vision with the option to change, go to another time, another space. One is invited to scrutinize, to seek. The important thing is the possibility of framing each detail, to distribuite the attention, to concentrate the observation. Something remains; the accomplice is the light that helps us to single out something barely there. This was a period of particular vitality for Traina, who, at the same, gave life to the Progetti series, to which  the works closest to us, from a chronological point of view, are tightly bound. These are annotations, suspended indefinitely in time. Blocked paper and magnets as in the studio of any artistic person. They are the things that remain temporarity vague in our minds, far from our daily thoughts. Projects that may never  see light, that pass every day, through our thoughts. Between 1992 and 1996 two series are born: Blocco (1992-1993) and Forma bianca (1994-1996), where one feels the tentative to cancel the end by recomposing in a ‘possible’ restoration, that has been, reconstructing the original form of things. This work finds its graphical expression through the drawing in which one hints to the missing portions of the block; absolute form, that enclosed in glass, now can only be observed and becomes a pregnant object of reflection. Also the ‘white forms’, broken architectures, are entirely recomposed. The various elements, accompanied by magnets and a metallic framework (that recaptures the initial form) are found in a condition of temporariness. The tentative of reconstruction is the memory of the object in its totality. Pezzi (1997) are, in facts, that which remains of a surface reduced to shreds and tatters. The fragments are saved one by one. The tension is geared not to reconstruction, but to gathering, assembling.

 Conclusion. Recent work

The underlying theme in Traina’s most recent studies requires long observation during the passage of time. It is an experiment in blocking things to give them a rebirth in a new, different existence. These recent works (1998-2002) are aptly named Inchini and it is the sense of the object in itself, made of paper and its metallic structure which frames and support the form. The metal sheets become one with the paper in an intended ambiguity of materials in the course of a process of adptament. The problem is always the same: to be able to stop time in space. the attempt is not to bring the object back to its original state. The folds are not eliminated trying to recompose the object. There is the delicacy of conservation: stopping it as it is, blocking it in structure of sheeting that captures entirely its actual form, with its rips and folds. This to prevent any ulterior decay, from the action of time that could bring about its definitive destruction, to the condition of ‘non being’. One underlines the importance of ‘being’ and ‘having been’ even in the latest works. Here we add an extra element to the Forma bianca series. It is the action of time, that determines a change, a phisical transformation from the initial aspect of ‘things’ and generally ‘being’. The surfaces here are black or colored, it matters little (colour is not a substantial factor in these pieces), they bow to time, they crumple like pieces of paper: they bend and rip. I enjoy glimpsing a sculptoreal threedimensional photographic process. To follow the desire to list, to conserve. In this sense the choice of seriality is not casual, the diverse groups of works become coherent, derivation of the artist’s personal experience in art.

 (1) All his work is produced in series. the passage from one to another occurs at the exhaustive point of creative experiment of the idea, which must go through a necessary transformation.