Alessia Locatelli

Ferro e carta

dal catalogo della  mostra  collettiva "Segno e Materia" alla Villa Borromeo di Senago.  Ott. 2004

 Le sculture di Alessandro Traina possiedono alcune caratteristiche peculiari: prima fra tutte, anche la più curiosa, è che alcune sono da parete. Nel suo lungo processo creativo, iniziato nella seconda metà degli anni ’80 con la pittura, egli ha intrapreso un lavoro di assottigliamento e sintesi coinvolgendo in un primo momento la materia pittorica, che è andata via via sottraendosi peso per arrivare infine a disgelare le sue strutture primarie – quasi una svolta verso il minimalismo – che sono capaci di coinvolgere, creando tensione emotiva nel fruitore. Nei suoi lavori più recenti egli può dire di aver raggiunto la sintesi tra l’uso di materiali distanti tra loro – come il ferro del supporto e la delicata carta soprastante – e il coinvolgente dinamismo di forze differenti, come quella di gravità o l’ingegnoso uso del magnete. Un materiale duro e freddo come il ferro viene piegato e – mediante il posizionamento di calamite – sopra viene poggiato un foglio di carta a mano, porosa e leggera. La carta sembra stendersi e arrampicarsi quasi a sfidare la forza di gravità, per poi ricadere chiudendosi in se stessa, come se fosse sotto il peso del ferro che fa da supporto e che a sua volta si piega, creando nel contempo un intuitivo dialogo con lo spazio, sia esso il muro di sostenimento cui “installare” il lavoro, sia invece la parete che fa da s-fondo alla scultura. Il risultato visivo è un senso di mobilità accentuato inoltre dal duplice utilizzo, innanzitutto, di calamite, elemento che racchiude come qualità fisica la capacità di attrarre o respingere forze opposte (dunque si presenta come inserimento di un elemento che fornisce instabilità); in secondo luogo, la carta è attraversata da alcuni strappi, visivamente appaiono come dei tracciati in cui l’occhio si smarrisce, che contribuiscono a fornire al lavoro dell’artista quel senso generale di precarietà: come un poster che il tempo ha piegato, lacerato, staccato e che si ripiega silenzioso su se stesso, quasi un monito sulla caducità delle cose e della vita che noi possiamo solo osservare passivamente. Il lavoro esposto alla Villa Borromeo dal titolo “Forma bianca” è precedente a alla contemporanea sperimentazione dei fogli piegati. Sopra il collaudato supporto in ferro nero, l’artista posiziona della carta bianca che viene rotta in più frammenti successivamente ricomposti e sorretti dalle calamite, creando così un contrasto cromatico dal forte impatto emotivo accentuato inoltre dalla presenza dei magneti – segno di un legame occasionale, provvisorio, presente ma eventualmente rimovibile - .L’installazione è posta nella sala in modo da creare un gioco di relazioni tra le sculture stesse, l’ambiente ed il visitatore – che viene intelligentemente coinvolto nella fruizione dello spazio tra i lavori e nelle tensioni interne che essi generano - . Contemporaneamente esse instaurano una relazione con il cinquecentesco ambiente della Villa e, restando nell’ambito della riduzione a strutture primarie, creano una serie di citazioni (ad una colonna, a un pilastro, un fregio…) che attraversa tutta la storia dell’Architettura.

Pagina per Juliet N° 126. 2006

Nel lavoro di Alessandro Traína è presente una continuità concettuale coerente con la sua poetica che da sempre ci parla di memoria, in un tentativo di catturarne il valore nonostante l’ineluttabile scorrere del tempo. “3 per 1”, questo il titolo dell’opera qui pubblicata, fa parte di una nuova serie di lavori e si presenta come un collage di elementi in cartoncino applicati su tavola, che qui non è solo supporto ma un piano di lavoro, nero e neutro, distanziato dalla parete, sul quale l’artista interviene per bloccare a livello concettuale ciò che il tempo, nel suo passare, sconvolge, rovina, distrugge. Le tre figure sono tre piani ripiegati accidentalmente su se stessi e disposti gli uni accanto agli altri in una posizione apparentemente casuale. Ma la composizione, ad una osservazione più accurata, rivela con sapiente costruzione tecnica un suo ordine preciso: i tre elementi, una volta idealmente aperti, vanno a coprire, senza sovrapporsi, l’intera superficie del pannello che li contiene, ricomponendosi in un'unica forma primaria. Dunque il ritorno ad un unico elemento originale, in un esercizio di arresto e recupero dei cambiamenti che inevitabilmente il tempo infligge agli oggetti, a noi, alla memoria.